Di Tempesta Nido

D’aria

 

Introduzione

Come ama una Regina


Il primo Ostro estivo la colpì alle spalle.

Portava con sé il delicato ma intenso vociare del gelsomino. Chiuse lentamente gli occhi, allargando le nari; voleva godere a pieno del gusto dolciastro che quell'odore le lasciava sui denti. Si umettò le labbra, sorridendo.

Un sorriso bellissimo, sempre Vergine.

Passarono ore mascherate da istanti; Apollo stava già riportando il suo carro nelle divine stalle ma la Regina ancora non aveva riaperto gli occhi.

Antropomorfo fiore, si lasciava cullare dal movimento rotatorio della Terra, Madre temuta e apprensiva.

I piedi nudi, immersi nell'erba tagliata di fresco, ebbero un fremito.

Qualcuno si stava avvicinando e quei fili vibranti glielo annunciavano frinendo.

“Unite dal verde nodo di fibra vegetale – sussurrò, certa che il suo sopraggiunto ospite potesse udirla chiaramente – un legame forte che sa resistere ai giochi di Zefiro, ai golosi becchi dei merli e alla mano che con le stesse lussuriose movenze con la quale Eva colse la prima Mela, le strappa al grembo dell'albero che, senza chiedere nulla in cambio, offre in sacrificio i suoi figli ad altri Figli...”

Il Generale, Radura rinchiusa tra due verdi iridi, prestava la massima attenzione a quelle parole, musica per le sue orecchie.

Annuì, anche se l'Incoronata le dava le spalle. Avrebbe percepito il fruscio delle sue movenze.

“Ho provato per un istante l'amore che le univa. Profondo, unico. Puro, bellissimo...

Si vestono di bellezza, rubini carnosi e affascinanti, danzando in un corteggiamento continuo, ostinato.”

“Quando vengono spogliate dalle loro vesti polpose, non smettono di amarsi. Passano ad un livello superiore. La loro essenza, legata dal piccolo picciolo, non si perde. Impara ad amarsi per quello che rimane, un sottile filo verde, aspro, amaro, ma vero. Perdono bontà e bellezza, ma non ciò che le tiene unite...”

Gli occhi di entrambe si colmarono di commozione.

“Vorrei riuscire ad amare come si amano le ciliegie un giorno...”

Biascicò, un po' come fanno i cani quando sono assetati e nessuno provvede a soddisfare il loro muto bisogno.

Il Generale, strinse con entrambe le mani l'elsa della spada.


Un Fiore Sconosciuto, senza nome, che racchiudeva tutta la flora presente sul Globo. Gli odori più intensi, i colori più nitidi si fusero insieme, donando alle vesti della donna un colore

biancastro ma carico di energia, pulsante come il cuore di una lepre che sfugge dal fucile del cacciatore.

Si potevano sentire i colori anche senza vederli.

Il suo stelo, corpicino esile ma dall'apparenza elastico ed indistruttibile nel centro del prato.

L'Uragano della stabilità.

La Regina, lasciata cadere la testa sulla spalla sinistra con repentine movenze, schiuse le labbra. Sorrise, come l'innamorata madre che per la prima volta, dopo i dolori del parto, stringe tra le braccia il cucciolo ancora sporco, pregno dell'odore stantio del liquido amniotico. Ai suoi occhi nonostante rughe, rossore, mancanza di denti e capelli ed espressioni prive di interpretazione era la cosa più bella del mondo.

Nasce in un'istante un Amore che non ha confini, che non conosce alcuna spiegazione. Esiste, e questo basta.

“Ti ricordi quando andammo sulla Terra?

Provammo ad amarci. Sentimenti inumani in un terreno che puzzava di umanità fino all'ultimo filo d'erba. Ti ricordi, mio Generale?

Io ricordo ogni istante. Ricordo il dolcissimo coltello che mi conficcasti nel luogo dove gli Umani credono si celi l'Amore: il cuore.

I tuoi occhi.

Quella salmastra Radura che vi nascondi, la Luna Gravida dei tuoi denti, quelle labbra che se mai Ippolita le vedesse, tradirebbe anche la sua Infernale Delfina. Ecco...” si interruppe per inseguire con lo sguardo una farfalla morente.

Si era lasciata conquistare dal delicato grigiore delle ali.

A guardarle bene però la parte inferiore era colorata di blu, con qualche sfumatura gialla e rossa. Il Kandinskij migliore che il pittore abbia mai inconsapevolmente dipinto.

L'anima dell'artista continuava a vivere nel breve giorno di un opera d'arte alata.


La giovane Amazzone trasalì.

La spina dorsale, come preda tra le fauci di un cane rabbioso, venne scossa da un brivido in tutta la sua interezza.

Un sisma tellurico le squarciò il cervello, insinuandosi tra i ventricoli cerebrali.

Sorrise di dolore.


“Sei come una Margherita in mezzo al cemento”.



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