¡Ni una menos, ni una mas!

Annamaria Di Sibio

 

Introduzione


¡Ni una menos! La Spagna me la porto dentro come una fiamma ardente; con la passione di chi, stanco dei soliti sciovinismiideologici , si è risvegliato alla consapevolezza di un senso di appartenenza che esula dagli abominevoli nazionalismi patriottici di frontiera: sepolcrali muraglie culturali millantatrici di libertà usuranti; claustrofobici lazzaretti sociali; debilitanti serbatoi microbici infestati di rabbia, costernazione, razzismo e disuguaglianza. Le radici non si perdono in confini geografici, in mappe mentali o costrutti doganali di aut aut, ultimo crocevia tra il sé e l'altro. Una babele moderna di contraddizioni, di paradossi linguistici e culturali che minano, attraverso l'orgoglio del pregiudizio, il libero arbitrio di una libertà reclusa nel bigottismo provinciale dei luoghi comuni. La Spagna me la sento addosso, come una seconda pelle: la esalo, la respiro, la inalo attraverso l'atmosfera di un andalusiar moresco che brulica di vita, nelle lunghe e chiassose calles di una Granada araba e multietnica, dove cultura è contaminazione: di odori, profumi, sapori, colori, arte, musica, magia. Un parossismo empatico - di usi e costumi - sedimentato in una complementarietà portatrice sana di arricchimento culturale; che sconfina nella rivoluzione sociale di un umanesimo che si tinge di umanità: un rispetto reciproco di un vivere comune che alimenta il saper vivere. La Spagna parla la mia lingua e il mio eterno girovagare zingaro, gitano, compulsivo come le ardenti sevillanas che dall'ombrosa Alhambra araba si ramificano tra le folkloristiche ferias di pueblos che ammiccano tradizione e sensualità; fino a raggiungere Torremolinos, Cordoba e gli alcazar della regale Sevilla. Accanto alle ciudades de verano - quando l'inverno semina nostalgia - la movida madrilena si prepara ad accogliere quella malinconia che tutto avvolge, anche l' insofferenza dei ricordi, lontani ma dannatamente vivi, profondi, perduti nel passato irraggiungibile di una felicità sfiorata e volata via; insieme agli aliti di vento di gioie sbiadite da un male di vivere che attanaglia l'anima. Madrid è la mia àncora di salvezza, la ciudad del mio "Retiro" invernale: quando tutto tace la Gran Via restituisce alla natura la movida di piccoli polmoni verdi, immersi nella ciudad de la noche che non si ferma mai, nel suo operoso lavorìo di città - madre, capitale e pioniera - di un'eccepibile dignità umana che, forte dell'ispanico orgoglio di un alzabandiera regale - la Real Academia - è stata in grado di coniare un alfabeto di lessemi "al femminile" per scongiurare, a monte, i pregiudizi di genere. Carpintera, bombera, fontanera, mecanica, camionera: il sessismo in Spagna non trova terreno fertile neanche nella lingua, poiché la logica del rispetto non si è avvalsa della vile manovra del "ricorso al neologismo" per coniare corrispettivi al femminile. Insieme all'idraulica, alla carpentiera e alla meccanica di turno, la comunità intera si è stretta, unita, per combattere - su strade, piazze, luoghi di lavoro - la violenza di genere. Un hastag mediatico che è sbarcato oltreconfine smuovendo le coscienze delle stesse istituzioni che - forti di un vetusto e consolidato patrimonio linguistico inneggiante la virilità idiomatica - si sono ben guardate dal concedere l'ultima timida sillaba di un gioco delle parti destinato a sfiorire insieme agli zapatos rosso sangue che gridano all'unisono: "¡Con maltrato no hay trato! ".



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